Durante una programmazione di protocollo allenante è bene tenere in considerazione non solo quanto peso sollevare, quante ripetizioni e quante serie effettuare. È altresì importante capire con quale cadenza spostare quel determinato peso: tempistica che sommata a tutte le ripetizioni e per tutte le serie ci permetterà di capire in quale tipologia di sistema energetico il nostro organismo si trova nello svolgere un determinato tipo di lavoro muscolare.
Nelle palestre, in relazione agli insegnamenti tramandati e/o agli sport praticati differenti dal bodybuilding, si notano dei tempi di esecuzione per ripetizione davvero differenti.
Ricordiamo il significato di TIME UNDER TENSION: tempo sotto tensione. Il tempo sotto tensione descrive in termini temporali la cadenza di una ripetizione di un determinato gesto motorio.
Il tempo viene di solito categorizzato in 4 cifre, le quali rappresentano rispettivamente le varie porzioni di movimento che un muscolo può effettivamente compiere:
- FASE ECCENTRICA: la fase eccentrica descrive la fase temporale in cui un muscolo si allunga contrastando una forza esterna (resistenza) dove come risultato si ha una voluta frenata o opposizione alla forza concentrica.
- FASE DI STRETCH: è la fase di transizione dell’inversione di fase tra eccentrica e concentrica. In questa fase il muscolo si trova nella sua massima espressione di allungamento generando una forza pari a 0 visto che la resistenza non subisce variazioni di spostamento.
- FASE CONCENTRICA: è la fase in cui il muscolo si contrae e vede il massimo sviluppo di tensione sollevando un peso.
- FASE DI CONTRAZIONE DI PICCO (o peak): è la fase di transizione opposta a quella di stretch ovvero è quella fase in cui il muscolo si contrae nella sua massima espressione generando anche qui una forza pari a 0 in quanto non vi è spostamento della resistenza.
Tradotto in termini numerici, quando affianco ad una ripetizione troviamo la seguente cifra numerica: 2-0-2-1 (es.) per prima cosa dobbiamo decifrare quanto scritto traducendo in termini pratici (e a seconda dell’esercizio) su quale fase devo soffermarmi maggiormente.
LAT MACHINE
- Il primo numero viene dato solitamente alla fase eccentrica del movimento, ovvero quando allungo le braccia verso l’alto e nel mentre allungo il gran dorsale (in questo caso 2’’). “Alcuni autori preferiscono dare come primo numero la fase di inizio dell’esercizio. Es: nella lat machine si parte già nella fase di massimo stretch con le braccia tese e la prima porzione del movimento ad essere sollecitata è la fase concentrica. Si potrebbe dunque leggere il primo numero non come fase eccentrica, ma come concentrica. In questo caso è da tenere in considerazione che i successivi numeri che compongono le altre fasi del movimento possono subire variazioni rispetto a chi invece imposta come primo numero la fase eccentrica.”
- Il secondo numero è la fase di stretch, ovvero il tempo in cui dovrei letteralmente stare appeso con le braccia in alto senza compiere nessun tipo di movimento (in questo caso 0’’).
- Il terzo numero è la fase concentrica, ovvero quanto tempo impiego (2’’) a portare la sbarra verso il basso e a contrarre il gran dorsale.
- Il quarto numero si riferisce alla durata nella quale si deve stare a contrarre il gran dorsale e a percepire la massima fase di contrazione muscolare (in questo caso 1’’).
Perché si da la cadenza ad ogni ripetizione?
Eseguire un movimento secondo una cadenza di ripetizione più precisa ha dei vantaggi non indifferenti:
1. Per i neofiti risulta essenziale nell’apprendimento di uno schema motorio nuovo. Eseguire un esercizio troppo velocemente o troppo lentamente o in maniera scoordinata (veloce in alcuni punti e lento in altri) non garantisce al sistema nervoso un tempo di apprendimento della giusta traiettoria e velocità da eseguire per lo sviluppo del gesto motorio.
2. L’incremento del tempo sotto tensione aumenta notevolmente la difficoltà dell’esercizio, rendendolo estremamente faticoso. Specialmente se il soggetto utilizza carichi sufficientemente elevati da rendere la ripetizione allenante con percentuali superiori al 70%.
3. La scelta di incrementare il tempo sotto tensione è una strategia (tra le tante) per aumentare il volume complessivo di lavoro, rendendo così proficua l’ipertrofia muscolo scheletrica.
Si può scegliere di aumentare o diminuire i secondi di lavoro a secondo del tipo di stimolo che voglio dare al mio muscolare e a quale sistema energetico voglio far prevalere:
• Più il tempo sotto tensione si dilunga e più starò utilizzando un sistema energetico virante verso la glicolisi (anaerobico lattacido) se complessivamente rientro nel range dei 40-120’’. In questo caso mi posso definire in uno stimolo ipertrofico molto alto che mi si ripercuote non solo sulle mio fibrille, ma anche sul sarcoplasma in maniera piuttosto equa.
• Lavorare con time under tension più bassi dei 40’’ comporta sicuramente un intensità di carico maggiore che si tradurrà in una risposta ipertrofica miofibrillare a più alto impatto. Lavorerà sicuramente anche la componente sarcoplasmatica, ma a seconda della soggettività individuale la risposta in tal senso potrà essere più o meno presente.
• TUT superiori ai 120’’ continui non apportano più benefici in quanto la resistenza non è sufficiente alla stimolazione delle fibre II bianche e IIx, anche se recenti studi suggeriscono che l’ipertrofia può avvenire anche con tut superiori ai 120’’.
L’organismo come sopra citato deve sempre fare i conti con il sistema energetico sfruttabile dalla cellula per poter compiere lavoro e mantenere alta la performance richiesta. La durata della serie e la relativa intensità di sforzo, insieme a quella di carico, determinano la richiesta energetica cellulare.
1. Il sistema anaerobico alattacido (o dei fosfageni) fornisce energia tramite ATP e creatinfosfato in attività molto intense con durate (TUT) limitate ai 12-20’’. L’intensità espressa è molto alta e si aggira sopra l’80% dell’1 RM.
2. Il sistema anaerobico lattacido (o glicolitico) fornisce energia dalla deplezione del glicogeno muscolare per attività intense con durata fino ai 60’’ ed una intensità pari tra il 60 e l’80% dell’1 RM.
3. Il sistema aerobico glicolitico produce energia con tut superiori ai 60’’ con una intensità inferiore al 55-60% dell’ 1 RM.
In tutti e 3 gli stimoli temporali, il muscolo subisce adattamento ed ipertrofia. Solo che l’ipertrofia risulterà differente in base a quali siano le nostre esigenze, le nostre caratteristiche strutturali e morfologiche. Ma soprattutto, l’ipertrofia rimane sempre e comunque orientata sulla base della soggettività individuale. È imprescindibile che per ipertrofizzare un muscolo si necessiti di una resistenza sufficiente a creare microtraumi muscolari e nuovo materiale proteico. Da qui la scelta di posizionarsi verso tut complessivi della durata di circa 20-40’’ per ottenere i maggiori risultati in termini di forza e massa muscolare.
Questo in realtà lo si può rivisitare se teniamo in considerazione il punto iniziale del perché è importante il tut: apprendere uno schema motorio nuovo.
Ipotizziamo che il nostro obiettivo sia sollecitare i motoneuroni innervanti il gran dorsale di un neofita o di un soggetto che fa fatica ad attivarlo e a percepirlo sotto sforzo. Per farlo necessitiamo di time under tension molto lenti. La lentezza della ripetizione farà crollare inevitabilmente il carico allenante, ma allo stesso modo tempi di durata dell’esercizio superiore ai 60’’ porteranno ad una enorme irrorazione sanguigna e ad uno sviluppo delle unità motrici muscolo-scheletriche elevatissime in quella determinata area, in maniera tale che in futuro (quando si applicheranno time under tension più veloci e si sfrutterà a pieno il potere del sovraccarico) si avranno sufficienti unità motorie attivate per garantire cascate ipertrofiche più importanti visti i potenziali d’azione a più alto impatto in termini di %.
Concludendo si può definire ottimale un time under tension per l’ipertrofia che si situi tra i 15-20’’ e i 40’’ per ripetizione, con qualche eccezione per alcuni distretti muscolari o per alcuni esercizi che necessitano di stimoli brevi o più lunghi in relazione all’anzianità di allenamento, al tipo di stimolo ricercato e alla capacità di reclutamento muscolare.
Il tut incide notevolmente sull’affaticamento muscolare indotto dall’esercizio. Durante una serie di breve durata (inferiore ai 20’’ come nel sistema energetico anaerobico alattacido) la principale causa di fatica è la deplezione dei fosfati della fosfocreatina (tramite un recupero sufficientemente lungo sopra i 3’ è possibile ripristinare gran parte delle scorte di ATP utilizzate). Se la serie viene prolungata oltre i 20’’ si stabilisce un impiego del glicogeno come principale substrato per il supporto energetico cellulare, il quale (depletandosi) causa l’insorgere dell’affaticamento per via dell’accumulo dei metaboliti che influenzano negativamente l’espressione di forza del muscolo: ioni H+, acido lattico e altri metaboliti causando una riduzione del ph ematico e muscolare con inibizione della forza motrice.
TUT più lunghi possono inoltre avere un impatto notevole anche sul dispendio calorico e sul dimagrimento in quanto sessioni di allenamento con tut lunghi possono incidere sull’EPOC in concomitanza con l’intensità di sforzo (che risulta comunque di più grande impatto).
Dato che il time under tension riveste un importante ruolo nelle variabili utilizzate dal bodybuilder per costruire tessuto muscolare e lavorare sui vari sistemi energetici, la periodizzazione degli stimoli temporali è cruciale per garantire al muscolo di sollecitare i vari substrati utilizzati e generare uno stimolo differente a discapito del numero di serie e ripetizioni, ma lavorando esclusivamente sul tonnellaggio (che indirettamente cambierà in relazione al time under tension) e sulla durata della singola ripetizione e della serie.
Dott. Nicola Frisoni
Comitato Scientifico BPR NUTRITION
Laureato in Scienze Motorie sportive e della salute
Laureato in Scienze della Nutrizione Umana
Preparatore Atletico di Natural Bodybuilding